La violenza nei confronti delle donne lesbiche all’interno della famiglia – Intervento al Corso di formazione su violenza e discriminazione a carico delle lesbiche e sulla violenza agita nelle relazioni di intimità fra donne – Bologna 26.06.15

2015-06-26


La violenza nei confronti delle donne lesbiche all’interno della famiglia

Intervento al Corso di formazione su violenza e discriminazione a carico delle lesbiche e sulla violenza agita nelle relazioni di intimità fra donne – Bologna 26.06.15 pubblicato nel volume “La violenza ha mille volti. Anche Arcobaleno” edito da Edizioni Epsil a cura di Arcilesbica e D.i.Re. Rete Centri Antiviolenza

 

La Rete Lenford

Nel panorama nazionale dell’associazionismo arcobaleno, da oramai otto anni, è presente l’ Avvocatura per i Diritti LGBTI, il sodalizio fra avvocate ed avvocati che ha quale scopo sociale quello di contribuire a sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali, intersessuali e transgender, sia a livello nazionale che internazionale, promuovendone in particolare lo studio, la conoscenza e la difesa tra tutti gli operatori del diritto e sollecitando l’attenzione del mondo giudiziario verso il rispetto delle diversità.

L’Associazione ha sede legale a Bergamo ed è presente, con un centinaio di aderenti, in una trentina di Fori italiani, tra i quali Bologna. Da sempre senza scopo di lucro, è iscritta nel registro prefettizio delle associazioni di promozione sociale e si finanzia con il provento delle iscrizioni, con i contributi ricevuti grazie al 5 per mille, con i fondi elargiti per la realizzazione dei progetti su bandi pubblici e con le donazioni di privati e aziende.

Tra le varie attività svolte, tra cui la pubblicazione sul proprio sito www.retelenford.it di articoli informativi di natura giuridica sulle novità in tema di diritti LGBT e l’organizzazione di convegni e seminari di formativi, essa ha costituito e gestisce una rete di professionisti (avvocati e non) sviluppata su tutto il territorio nazionale, che si occupa della tutela e del sostegno, in ambito giudiziale e stragiudiziale, dei diritti delle persone LGBTI, denominata Rete Lenford, a ricordo di Harvey Lenford, giovane attivista jamaicano, che si è speso per i diritti delle persone sieropositive e omosessuali, assassinato nel 2005 a causa del suo orientamento sessuale.

Sovente all’indirizzo email dedicato alle richieste di aiuto degli utenti sos@retelenford.it sono giunte richieste di consulenza e assistenza giuridica da parte di donne lesbiche fatte oggetto di violenza, fisica o psicologica, all’interno delle proprie famiglie.

 

Le donne lesbiche che interrompono una precedente relazione eterosessuale

Un primo profilo di tutela è stato quello garantito alle donne, spesso madri, che dopo una esperienza eterosessuale (assolutamente libera o dovuta a coercizione familiare o sociale) hanno fatto una scelta omosessuale, venendo così a porsi in una posizione di scontro con il proprio partner che a questo punto tenta in ogni modo di non “perdere” la propria compagna, usandole violenza fisica o, soprattutto, psicologica.

Il modo in cui più sovente si manifesta il tentativo di mantenere con la coercizione lo status quo è il ricatto, che apre poi la strada a casi di vera e propria violenza sessuale, quando la donna è costretta a soggiacere alle ormai non più gradite “voglie” del marito che tende a riaffermare, proprio sul piano sessuale, la sua posizione di predominio sulla moglie o sulla compagna, che vede come soggetto da “rieducare”.

La forma di ricatto più forte ed utilizzata è la minaccia di riuscire, in caso di separazione, a sottrarre alla donna la propria prole a causa del suo orientamento sessuale, che le impedirebbe di essere una buona madre.

Molto importante è quindi, in questi casi, far conoscere a queste madri come l’indirizzo costante della giurisprudenza italiana, in questo perfettamente in sintonia con le Corti europee, è univoco nel ritenere che l’orientamento sessuale di un genitore è del tutto ininfluente nella valutazione circa l’affido del minore e che quindi la minaccia subita è totalmente priva di una reale efficacia.

Non solo questo è oramai l’orientamento giurisprudenziale più seguito dai tribunali e dalle corti d’appello, ma è quello sposato nel gennaio del 2013 dalla stessa Corte di Cassazione, che si è trovata ad affrontare un caso di questo genere.

Una bambina, figlia di un padre di religione musulmana e di una madre ex tossicodipendente (che nel frattempo aveva intrapreso una relazione sentimentale ed una convivenza con un’operatrice della propria comunità di recupero) veniva affidata in via esclusiva alla madre dal Tribunale per i Minorenni, sulla evidenza del comportamento violento del padre che aveva aggredito la convivente della madre e dell’interruzione di fatto dei rapporti con la figlia, nonostante l’intervento dei servizi sociali.

Il padre ricorreva contro questa decisione deducendo che l’inserimento della minore all’interno di una famiglia formata da due donne poteva compromettere la sua crescita psicologica ed educativa.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 601/13 del 11.01.13 è stata lapidaria: ha confermato l’affido esclusivo alla donna e affermato che ritenere che possa avere ripercussioni negative l’inserimento di un minore in una «famiglia» «composta da due donne legate da una relazione omosessuale» appare frutto di un «mero pregiudizio».

Tale indirizzo giurisprudenziale è in linea con l’ampio concetto di legame familiare, richiamato dalla Carta di Nizza, che impedisce le discriminazioni fondate sul sesso e sull’orientamento sessuale e con l’evoluzione della nozione di “famiglia” ai sensi della Convenzione europea dei diritti umani.

Peraltro, con la sentenza Salgueiro da Silva vs Portogallo del 21.12.1999, la Corte Europea dei Diritti Umani, aveva già stabilito che porre alla base di una decisione circa la custodia di un figlio l’orientamento sessuale di uno dei genitori costituisce un’interferenza ingiustificabile con la vita privata del genitore e confligge con l’adozione di una decisione unicamente nel reale interesse della prole.

Costituisce infatti violazione dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 qualunque discriminazione non abbia una oggettiva e ragionevole giustificazione e cioè che non persegua un obiettivo legittimo o se non vi sia una relazione di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e l’obiettivo che si intende raggiungere.

Invero, numerosi studi condotti dall’American Psychological Association, dall’American Psychiatric Association e dall’American Academy of Pediatrics non hanno evidenziato alcuna differenza, neppure minima, negli effetti dell’omogenitorialità rispetto alla genitorialità eterosessuale.

L’American Psychological Association nello studio Lesbian & Gay Parenting del Luglio 2004 ha ritenuto che non ci sono prove che suggeriscono che le donne lesbiche e uomini gay sono inadatti ad essere genitori o che lo sviluppo psico-sociale tra i bambini di donne lesbiche o gay è compromesso rispetto a quello tra i figli di genitori eterosessuali. Nessuno studio ha rilevato che i figli di genitori lesbiche o gay sono svantaggiati in alcun modo significativo rispetto ai figli di genitori eterosessuali.

Una ricerca dell’ American Civil Liberties Union sostiene come la maggior parte degli studi sociologici indicano che comparando i bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali con quelli di genitori eterosessuali, non si nota alcuna differenza “nelle valutazioni di popolarità, nell’adeguamento sociale, nei comportamenti di ruoli di genere, nell’identità di genere, nell’intelligenza, nella coscienza di sé, in relazione ai problemi emotivi, alla propensione al matrimonio e alla genitorialità, allo sviluppo morale, all’indipendenza, nelle funzioni del sé e nelle relazioni con gli oggetti o l’autostima

Dello stesso avviso è una relazione fatta dal Department of Justice (Canada) sullo Sviluppo delle abilità sociali dei bambini attraverso i vari tipi di famiglia del Luglio 2006, che ha rilevato come “la gran parte degli studi mostrano che i bambini che vivono con 2 madri hanno lo stesso livello di competenza sociale di quelli che vivono con un padre ed una madre. Anche le ricerche condotte su bambini con due padri supportano queste conclusioni”.

In sintesi, così come riportato nell’articolo di Biblarz e Stacy delle Università di California e New York “How does the gender of parents matter?”pubblicato nel febbraio 2010,

  • 40 anni di studi sono concordi nell’affermare che orientamento affettivo/sessuale, identità di genere non incidono sulla qualità della relazione dei genitori omosessuali con i propri figli,
  • i figli di persone omosessuali sono raramente omosessuali,
  • sono a proprio agio nel genere di nascita,
  • non hanno più problemi o ritardi cognitivi rispetto ai figli di eterosessuali,
  • a volte sono più bravi a scuola di figli di eterosessuali,
  • non sono più discriminati di figli di eterosessuali,
  • sono più aperti alle diversità e alla sperimentazione.

Della stessa opinione anche il recente studio terminato nel 2012 dall’ Istituto di Ricerca per lo Sviluppo e l’Educazione Infantile dell’Università di Amsterdam sugli adolescenti figli di coppie dello stesso sesso, la cui ricerca è durata ben dieci anni.

Altra forma di ricatto, soprattutto quando non vi sono figli minori, è quella di dare pubblicità al (nuovo) orientamento sessuale della compagna con parenti, amici, colleghi di lavoro, estranei (facendo il così detto outing).

In questo caso può risultare utile far giungere immediatamente al compagno, una formale diffida con cui gli si paventi una querela in sede penale per diffamazione (ove il contenuto dell’outing abbia una valenza offensiva e/o vengano raccontate falsità) e una azione per il risarcimento del danno in sede civile per lesione del proprio diritto inviolabile alla identità personale e alla riservatezza, oltre che per l’eventuale lesione del diritto all’onore ove sia presente la diffamazione, agendo poi di conseguenza nel caso in cui le minacce vengano messe in atto.

 

Le donne lesbiche che fanno coming out all’interno della famiglia di origine

Una seconda occasione di tutela è stata fornita alle donne, spesso giovani o giovanissime, in taluni casi minorenni, che manifestano all’interno della propria famiglia di origine il proprio orientamento sessuale, facendo coming out al fine di vivere liberamente una relazione amorosa con un’altra donna oppure perché è stata “scoperta” dai familiari una segreta relazione omosessuale.

In queste situazioni si assiste o ad una vera e propria condotta violenta (del padre od in genere dei familiari di ambo i sessi) sia sotto il profilo fisico sia sotto quello psicologico volta a costringere la persona lesbica ad un vero e proprio isolamento (più o meno totalizzante) all’interno delle mura domestiche o ad allontanamenti forzati.

Nel primo caso viene messa in atto una condotta che integra vari reati, dall’ipotesi più grave del rapimento (quando viene letteralmente impedito alla donna di uscire di casa e di avere contatti con l’esterno) a quella della violenza privata, quando viene impedito alla giovane di uscire di casa da sola o di avere contatti con la compagna o con persone comunque non autorizzate dai familiari o a quella più lieve della minaccia o dell’ingiuria.

Qui è necessario agire prima di tutto sotto il profilo penale, chiedendo in ogni caso alle Forze dell’Ordine l’allontanamento (anche forzato se necessario) della vittima per ricoverarla in un casa protetta, per poi agire successivamente per l’eliminazione delle condotte violente ed il risarcimento del danno.

La cosa veramente complicata in questi casi è riuscire ad avere un contatto con la persona fatta oggetto di violenza e farle comprendere la necessità di chiedere aiuto in prima persona.

Sovente infatti chi si rivolge al legale è la partner che si trova al di fuori delle mura domestiche e che si vede totalmente “tagliata fuori” dalla vita della propria amata. Diventa quindi estremamente difficile, anche con l’ausilio di un legale, attivare una protezione tramite le Forze dell’Ordine che, non avendo evidenza di reati, ove non vi siano prove di costrizioni, devono restare al di fuori della porta di casa.

Agli antipodi è invece il caso dell’allontanamento coattivo della donna lesbica da parte dei familiari.

La vittima viene a volte letteralmente cacciata di casa (ovvero fatta oggetto della minaccia di esserlo ove continui a manifestare il proprio orientamento sessuale), a volte sottoposta a tali e tante angherie (privazione del dialogo, del cibo, dell’uso degli elettrodomestici, veri e propri danneggiamenti di oggetti personali, ecc.) da sentirsi costretta ad abbandonare la casa familiare.

E’ ovvio che il problema più serio si pone quando la persona “mobbizzata” dai familiari è molto giovane o non ha autonome fonti di reddito.

Non esiste un diritto ad essere acettate nel proprio orientamento sessuale da parte dei familiari, né tanto meno amate da loro, ma esiste il diritto soggettivo assoluto ad essere rispettate nella propria dignità (e quindi a non essere violate, offese o discriminate) e il diritto, per le minorenni e le persone indigenti, ad essere economicamente mantenute.

Una cosa importante da far conoscere alle donne vittime di questo tipo di condotte è che il nostro ordinamento prevede sia l’obbligo per i genitori di “mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli” (art. 147 c.c.), sia in generale l’ “obbligo di alimenti” gravante sui familiari e gli affini diretti (coniuge, figli, genitori, nonni, fratelli e sorelle, generi, nuore, suoceri), che impone a tutti questi soggetti di garantire (ove non lo forniscano accogliendo l’indigente nella propria casa) sufficienti risorse economiche alla persona “in istato di bisogno”, risorse tali da permetterle di procurarsi una abitazione, del cibo, del vestiario e quant’altro necessario alla sua sopravvivenza (artt. 433, 436, 438 e 439 c.c.).

E’ quindi possibile agire in un primo tempo con una formale intimazione ai familiari perché garantiscano il mantenimento della vittima all’interno della propria abitazione, nel rispetto reciproco, senza che questo comporti violenze fisiche o psicologiche, ovvero perché, se maggiorenne, le forniscano un sufficiente apporto economico a titolo di alimenti al di fuori della stessa.

Ove l’intimazione non dovesse bastare si potrà agire giudizialmente, anche con la richiesta di provvedimenti d’urgenza.

Inoltre, nei casi di “mobbing” vero e proprio, è possibile sporgere querela per ingiuria, minacce o violenza privata, mentre, se si è in presenza di minori, si può agire in sede penale anche per l’eventuale violazione dell’obbligo di mantenimento.

 

Le donne lesbiche che subiscono violenza all’interno della relazione sentimentale

Un ultimo profilo di intervento è quello della violenza agita fra donne lesbiche all’interno delle loro relazioni sentimentali o di convivenza.

In questi casi risulta necessario individuare con estrema attenzione la vera vittima della violenza domestica, perché a volte ci si trova in situazioni di reciprocità o in presenza di soggetti aventi entrambe apparenti condizioni di forza fisica e materiale.

Un caso che recentemente è stato posto alla nostra attenzione è stato quello di due conviventi, entrambe agenti di polizia municipale, in cui quella delle due che aveva subito un provvedimento di sospensione della possibilità di portare l’arma da fuoco da parte del proprio comando lamentava di essere la vera vittima della violenza operata dall’altra e che tale provvedimento avrebbe invece dovuto essere assunto nei confronti della compagna, unico soggetto realmente “pericoloso”.

Proprio su questi aspetti Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford sta portando avanti un progetto europeo di studio denominato Bleeding Love, il cui sito internet presenta notevoli elementi di interesse, in particolare in relazione al blog ove vengono riportati gli approfondimenti effettuati www.bleedinglove.eu/blog/, e che avrà il suo coronamento con la conferenza finale dal titolo “la violenza domestica e d’appuntamento contro le donne”, la quale si terrà presso l’Università di Brescia, Aula Magna, Via S. Faustino 41, nei giorni 11 e 12 dicembre 2015 (per il programma consultare: http://www.retelenford.it/rete-lenford/gruppi-di-lavoro/859-bleeding-love-la-violenza-domestica-e-d-appuntamento-contro-donne-lesbiche,-bisessuali-e-trans.html).

 

Per concludere, è importante che le associazioni che si occupano della tutela dei soggetti deboli collaborino tra loro per lo scopo comune.

Vi invito quindi, ove ravvisaste la necessità o anche solo l’opportunità di un supporto legale o formativo alla Vostra meritoria azione sul territorio, a contattare Rete Lenford per garantire insieme, ognuno per le proprie competenze, il miglior servizio all’utenza.

Giovanni Genova